Carteggi di Psicologia

Dal contatto alla connessione, come è cambiata la formazione dal lockdown in poi

Audio funziona, telecamera a posto. Microfono sì o no? Rumori di sottofondo? Battito cardiaco? Ok, c’è silenzio… partiamo!

Mi occupo di formazione da molti anni, ma ogni volta che entro in un’aula c’è un momento, le poche frazioni di secondo in cui sto per attraversare la porta, in cui provo un brivido, una leggera tensione. Faccio un respiro, rimetto a fuoco dove sono e cosa sto per fare, raccolgo le energie e varco la soglia.

Ogni volta l’esperienza dell’aula è diversa e questo mi lascia un senso di ignoto. Cosa troverò dall’altra parte?

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La formazione esperienziale funziona così. Posso ripetere gli stessi argomenti perché i concetti rimangono costanti, ma l’interazione no, quella non è mai uguale alla precedente. L’interazione prende forma nell’incontro del formatore con il gruppo, nell’incontro del gruppo con l’ambiente e nella reciprocità tra questi tre elementi.

Ogni volta è un’esperienza nuova. Ogni volta c’è un momento preciso in cui sto per iniziare, so di cosa devo parlare, ma non so chi avrò di fronte, quali persone incontrerò e come interagiranno tra loro, quanto saranno disposte a mettersi in gioco, quanto ne sanno degli argomenti che tratterò, quanto saranno interessati a questi argomenti e quanta difficoltà incontreranno nell’entrare in relazione tra loro.

Ecco, nel momento in cui sto per attraversare la porta dell’aula mi torna in mente questa incognita.

Un attimo che basta a prendere consapevolezza che il processo che sta per avviarsi è un processo di co-costruzione, in cui quello che si farà è tutto ancora da costruire e da costruire insieme.
Certo c’è un canovaccio (l’argomento del corso, la sua struttura, le slides da proiettare, qualche informazione generale sui partecipanti e sull’azienda), ma posso prevedere poco di come sarà l’interazione, di quanto dovrò rimanere su aspetti superficiali o quanto invece potrò approfondire gli argomenti.

Questa incertezza, questo incontrare sempre qualcosa di nuovo, è quello che mi appassiona nella formazione, la possibilità di sperimentare relazioni sempre diverse, di conoscere persone diverse, di ascoltare ciò che hanno da dire e osservare come reagiscono a quello che gli sto raccontando. L’interazione, il contatto, il fare esperienza diventano così elemento centrale della formazione e dell’apprendimento.

Questo non accade solo quando parlo delle così dette soft skills, ma anche quando ragiono su conoscenze specifiche. Quello che differenzia la formazione da una lezione didattica è proprio il livello di interazione con i partecipanti, la possibilità di creare un flusso di informazioni dinamico, stimolando le persone ad essere parte integrante del processo formativo e dell’apprendimento. La formazione è basata sull’esperienza raccontata, vissuta o giocata.

Quando con il lockdown abbiamo cominciato a ragionare sulla formazione a distanza, mi sono tornate in mente le vecchie attività di e-learning che venivano fatte negli anni novanta e i primi del duemila, una tipologia di formazione che non mi ha mai appassionato, proprio perché la vedevo distante da tutto ciò che ho appena raccontato. Posso fare una videoconferenza, una riunione, posso arrivare anche a fare una terapia sfruttando le piattaforme (anche qui ci sarebbe da raccontare le criticità). Ma fare formazione? Ragionare sulle relazioni umane? Far sperimentare i partecipanti? Mi lasciava molto perplesso.

Così, quando mi hanno contattato chiedendomi se mi sentivo di trasferire alcuni degli argomenti trattati dal vivo su una piattaforma online, devo ammettere che ho cominciato a provare un po’ d’ansia. Ma non quella che provo ogni volta che sto per iniziare un’aula, quella dell’incognita di chi incontrerò, ma un ansia nuova sottesa ad una domanda che mi premeva forte: come posso ricostruire virtualmente un ambiente di apprendimento dinamico e interattivo? Come stimolare la partecipazione senza un contatto visivo diretto, un’interazione con l’altro?

In qualche modo mi sono trovato proiettato a qualche lustro prima, quando, neoiscritto all’Ordine, entravo per la prima volta in un’aula di formazione. Programma strutturato, sapevo quello che dovevo dire, sapevo come dirlo, sapevo cosa avrei dovuto fare, ma non sapevo se sarei riuscito a gestire l’aula, quello non lo avevo mai fatto prima.

E infatti, paura!

Dopo le prime quattro ore di aula ero così teso che non mangiai, non ebbi il tempo, né ebbi la voglia di farlo. Alla fine delle 8 ore ero stravolto, come se avessi trascinato pesi tutto il giorno.

Quando mi sono seduto alla scrivania, qualche mese fa, alla mia prima lezione di 6 ore consecutive online, mi sono sentito allo stesso modo, preoccupato. Quello che avevamo progettato avrebbe funzionato? Riuscirò a coinvolgere i partecipanti? Le esercitazioni che abbiamo provato, funzioneranno? Andò bene, almeno dal punto di vista del cliente.

Ho fatto altri corsi a distanza dopo questo primo tentativo, ho fatto assessment, singoli colloqui, terapie. Tutto il mio lavoro, come quello di tanti, durante il lockdown ha traslocato online (leggi anche questo articolo sullo smartworking). Un passaggio che mi ha fatto scoprire gradualmente che nuove forme di aula possono essere sperimentate e, in situazioni particolari, possono essere un buon surrogato alla formazione in presenza.

Anche i costi e i tempi la rendono particolarmente interessante, soprattutto per le aziende. Niente più trasferte, azzerati i tempi di e le spese. L’aula arriva direttamente a casa tua (a studio nel mio caso).

Ma com’è questa formazione? Funziona? È efficace?

L’aula virtuale, può sicuramente essere funzionale per alcune tipologie di corsi, soprattutto quando ragioniamo sui contenuti, quando la parte teorica diventa rilevante. Ma quando ragioniamo sull’esperienza? Funziona ugualmente bene? Penso che in questo caso i limiti ci siano.

La formazione esperienziale prevede appunto il “fare” esperienza e noi esperiamo attraverso i sensi, con il corpo, la vita umana si è costruita su una forma di apprendimento di tipo totalmente esperienziale, osservo, provo, manipolo, assaggio, annuso, ascolto, gioco. Facciamo esperienza anche attraverso le emozioni che proviamo.

Era così che si apprendeva prima della diffusione della scrittura, è così che apprendono i bambini, è così che apprendiamo anche noi adulti. Tanto che conosciamo bene la differenza tra sapere e saper fare.

Il saper fare prevede un aspetto di dinamicità che è più complesso da ricreare a distanza, prevede l’utilizzo dei “corpi”. Quando parliamo di formazione esperienziale, quando parliamo di interazioni dirette tra persone, ragioniamo, oltre che sul linguaggio, sugli stili comunicativi, anche sul corpo, sul come il corpo occupa lo spazio e sul come lo occupa in relazione alle persone con cui interagisce e in funzione del contesto nel quale si trova.

I movimenti corporei, gli sguardi e la loro direzione, il contatto, in una situazione virtuale si perdono quasi totalmente, ma sono parte integrate della relazione (sempre che anche essa stessa non sia virtuale). Se questo è vero, quando parliamo di relazione (quella con un cliente ad esempio) diventa quantomeno complesso non poterla sperimentare in maniera diretta, non poterla “giocare”.

Non apprendiamo solo attraverso il canale verbale o visivo, ma anche attraverso quello olfattivo e quello tattile. Aspetti che influiscono sulla relazione e che nella formazione a distanza si perdono totalmente.

Poi dovremmo ragionare sui nostri tempi di attenzione. Quanto riusciamo a rimanere concentrati utilizzando solamente il canale visivo ed uditivo?  I tempi di attenzione sono ben diversi davanti ad uno schermo, senza l’interazione diretta con il resto del gruppo o con il docente, ed evidentemente più facilmente distraibili da stimoli esterni. Concentrarsi su due canali solamente nella comunicazione, perdere i segnali del contesto, perdere la gestualità, ci costringe ad un maggiore sforzo di comprensione, costandoci molta più fatica. I corsi online infatti dovrebbero avere una durata minore.

Dal punto di vista del docente ad esempio mancano i feedback diretti, soprattutto la parte non verbale. Se sono in aula e sto spiegando un concetto, osservo il gruppo, osservo i volti e posso cogliere rapidamente espressioni di dubbio, di mancata comprensione, stimolando la persona ad esporre la propria considerazione. Nell’aula virtuale questo passaggio diventa maggiormente nascosto, non solo a telecamera spenta.

La pandemia ci ha spinti ad un’accelerazione fortissima sulla digitalizzazione della formazione, senza darci il tempo di capirne funzionalità e vantaggi. Anche se il sopracitato e-learning stava proseguendo le sue sperimentazioni e si stava evolvendo, ha dovuto fare i conti con la pandemia e con lo smartworking. Non può essere però a mio avviso l’unica alternativa valida.

Potrebbe essere interessante invece la possibilità, anche questa non nuova, di integrare le due forme di formazione, sfruttando la formazione a distanza per il passaggio di concetti e la formazione in aula per l’apprendimento esperienziale. Sarebbe un interessante connubio e permetterebbe comunque di abbattere i costi della formazione (risparmiando anche sulle trasferte e riducendo i tempi).