Carteggi di Psicologia
Terapia Mediata Genitori

La Terapia Mediata dai Genitori (TMG)

La Terapia Mediata dai Genitori (TMG) è un intervento di Parent Training per bambini con Disturbi del Neurosviluppo. In particolare, nell’ultimo decennio la TMG è stata applicata, attraverso vari modelli, a bambini con Disturbo dello Spettro Autistico (in inglese Autism Spectrum Disorder, ASD).

La TMG è un “intervento focalizzato sulla tecnica dove il genitore è l’agente del cambiamento e il bambino è il diretto beneficiario del trattamento” (Bearss et al., 2015).  Le terapie “mediate” si distinguono, quindi, dalle terapie “dirette”, per uno spostamento di focus; l’agente del cambiamento del bambino non è direttamente il terapista, ma il genitore.

Secondo Bearss (2015) esistono due forme principali di TMG:

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  • Una per i sintomi “core” dell’ASD, volta al miglioramento delle abilità socio-comunicative del bambino;
  • una per le costellazioni sintomatologiche tipiche, ma non essenziali ai fini della diagnosi (comportamenti problema, disturbi del sonno, alimentazione selettiva etc).

In questo breve scritto ci concentreremo sulla TMG per i sintomi “core”. Lo scopo della TMG è quello di favorire il miglioramento delle compromissioni dell’ASD, in particolare il miglioramento delle abilità socio comunicative, attraverso una modificazione delle interazioni genitore-bambino, tramite l’intervento del terapista sul genitore.

Posto che non esistono linee guida specifiche per la TMG, né tantomeno limitazioni di carattere legislativo sulle figure abilitate a tale tipologia di intervento, proviamo a descrivere come la TMG è stata implementata in alcuni studi recentemente pubblicati.

In letteratura esiste un’ampia varietà di modelli, ai nostri fini, prenderemo in considerazione i seguenti: il Paediatric Autism Communication Therapy (PACT, Green et al., 2010; Pickles et al., 2016), il Joint Attention, Symbolic Play, Engagement & Regulation (JASPER, Kasari et al, 2015), il Parent-Delivered Early Start Denver Model (P-ESDM, Rogers et al., 2018) e il Reciprocal Imitation Training (RIT, Ingersoll et al., 2007); un modello sviluppato in Italia è la Terapia Mediata dai Genitori – Cooperativa (TMG-C, Valeri et al. 2019). Il PACT e la TMG-C sono interventi di TMG “puri”, ovvero non adattati da altri modelli di intervento diretto. Il P-ESDM è derivato dall’ESDM, che è un intervento in parte diretto e in parte mediato. I restanti interventi erano stati progettati originariamente per essere interventi diretti e sono stati, successivamente, adattati per diventare interventi di terapia mediata.

La TMG viene condotta da uno specialista nel campo dell’età evolutiva solitamente psicologo, logopedista, TNPEE, terapista occupazionale o educatore.  La durata degli interventi negli studi presi in considerazione va dalle 15 alle 24 sessioni, mentre la durata delle singole sessioni va dai 30 minuti alle 2 ore. La frequenza delle sessioni va da due volte a settimana a una volta ogni due settimane.

La TMG può essere svolta presso un centro clinico o presso il domicilio del bambino. Gli strumenti principali di “training” del genitore sono il coaching, il modeling e il video feedback: durante il coaching si forniscono al genitore dei suggerimenti su come modificare il suo comportamento durante l’interazione di gioco genitore-bambino; con modeling intendiamo, invece, una procedura all’interno della quale il terapista mostra direttamente al genitore “come interagire” con il bambino; con video-feedback si intende, infine, una sessione all’interno della quale il genitore può ri-osservare la sua modalità di interazione con il bambino attraverso dei video di interazione di gioco appositamente registrati. 

Queste tecniche sono finalizzate alla modificazione del comportamento del genitore al fine di ottimizzare le opportunità di apprendimento di abilità socio-comunicative dei bambini all’interno delle interazioni diadiche di gioco. I destinatari sono, nella maggior parte dei casi, bambini pre-scolari (2-7 anni). In alcuni casi, la terapia è stata applicata anche a bambini scolari (fino ad 11 anni, vedi PACT). La terapia può essere implementata per un singolo obiettivo specifico (come nel RIT) o per un ampio ventaglio di obiettivi (JASPER; PACT; P-ESDM; TMG-C;). Gli obiettivi comunemente includono lo sviluppo delle seguenti competenze: attenzione congiunta, regolazione emotiva, coinvolgimento socio-emotivo, motivazione sociale, sincronia e sensibilità, imitazione di gesti o con oggetti, comunicazione verbale e non verbale, gioco funzionale e simbolico, routine sociali e anticipazioni, interazione cooperativa, linguaggio recettivo, comunicazione funzionale, espansione del linguaggio, conversazione e flessibilità cognitiva.

L’inclusione del genitore nel trattamento dell’ASD attraverso forme di parent training è fortemente consigliata da varie linee guida come le LG 21 dell’Istituto Superiore di Sanità (2011), le Clinical Guideline CG170 del The National Institute for Health and Care Excellence (2013) e le WHO Mental Health Gap Action Program (Keynejad et al., 2018).

Gli interventi di TMG hanno inoltre dimostrato alcune evidenze di efficacia in studi randomizzati e controllati sul miglioramento delle competenze socio-comunicative dei bambini con ASD (vedi Pickles et al. 2016; Althoff et al., 2019; Valeri et al., 2019).

Ciononostante, non disponiamo ancora di linee guida specifiche che diano indicazioni sul rapporto tra la TMG e gli altri interventi di comprovata efficacia (come gli interventi comportamentali intensivi precoci, in inglese Early Intensive Behavioral Intervention, EIBI). A livello esperienziale, è possibile osservare come Il lavoro sull’interazione socio-comunicativa nei primi anni di vita tra genitori e bambini permetta di promuovere nella vita di tutti i giorni le competenze apprese negli EIBI, cosa che a suo volta permette l’emergere di nuove competenze, avviando un circolo virtuoso di apprendimento reciproco. Gli interventi mediati dai genitori possono e, a mio avviso, devono essere accompagniati da interventi diretti sul bambino.

La TMG rappresenta una metodologia di intervento in crescita nel panorama italiano, ma che possiamo ancora considerare come una relativa minoranza se paragonata ad altri interventi più diffusi.

Una delle cose che maggiormente mi ha colpito quando ho iniziato a lavorare in questo settore era la mancanza di inclusione del genitore (interazione sociale primaria del bambino) nel trattamento di un disturbo che ha tra le sue caratteristiche principali quella di essere un disturbo dell’interazione sociale.

Il paradosso, visto da un occhio ingenuo era palese e non comprensibile. Per molto tempo, quindi, mi sono interrogato sull’assenza delle figure di riferimento principali del bambino dal setting di terapia.

Negli anni mi sono dato alcune spiegazioni che riassumo brevemente di seguito:

1. La prima e forse più semplice spiegazione di questa assenza è legata a quella che è stata la teoria dominante sull’eziopatogenesi dell’ASD, ovvero la teoria della “madre frigorifero” (o “coccodrillo” a seconda dell’orientamento teorico di riferimento). Questa teoria, che pure ha fascinato per qualche anno il primo teorico dell’ASD Leo Kanner (che successivamente ha rinnegato la teoria), spiega la sintomatologia autistica come dovuta ad un ritiro del bambino a seguito di una mancanza di “contatto affettivo” con la madre. Ormai ampiamente sconfessata (allo stato delle conoscenze attuale, si ritiene che l’ASD sia un disturbo con una forte componente genetica; secondo Bai et al., (2019) almeno il 73.9% della variabilità è spiegato da fattori genetici), seppur non totalmente “debellata”,

la teoria della “madre frigorifero” ha avuto a mio avviso due effetti sui programmi di intervento per bambini con ASD. Il primo, positivo, è stato di rendere gli studi sull’ASD sempre più legati al concetto di evidence–based. Forse in nessun ambito della psicologia dell’età evolutiva è possibile ritrovare una così forte attenzione alle evidenze scientifiche. Un secondo effetto, negativo, è stato quello di allontanare dalla mente dei terapisti che i genitori potessero essere inclusi nel trattamento. Semplificando, se i genitori non sono la causa dell’ASD allora questi non devono essere coinvolti nel trattamento dello stesso.

2. La seconda spiegazione è maggiormente legata ad un problema di natura tecnica. Se è vero che, in Italia, gli operatori che lavorano nel campo dell’ASD sono diventati sempre più bravi ad implementare metodologie dirette di intervento finalizzate al miglioramento di comportamenti adattivi e alla riduzione di comportamenti problema attraverso una formazione di qualità sempre crescente (vedi la trasposizione di modelli di certificazione americani in Italia o la nascita di modelli italiani di certificazione), non si può dire lo stesso sulla formazione riguardante gli interventi “mediati” dai genitori. Spesso lasciata alla libera iniziativa, o relegata alla lettura di qualche manuale, la terapia mediata dai genitori non ha avuto, in Italia, la stessa offerta formativa (sia in termini di quantità che in termini di qualità).

Questo dato potrebbe essere spiegato da una parte dalla mancanza di una “cultura” sull’intervento mediato, dall’altra dalla mancanza di un sistema unico di certificazione dello stesso (ad es. i modelli di TMG, pur avendo alcune affinità, sono eterogenei e spesso non comunicanti). Semplificando, se molti operatori non fanno terapie mediate dai genitori, molto semplicemente “non sanno come farlo”.

3. Il terzo motivo, strettamente interrelato al secondo, è che il modello dominante di intervento nell’ambito dell’ASD è legato al “passaggio di competenze” (o insegnamento). Molti colleghi si riferiscono ai loro utenti utilizzando il termine “studenti”. Questo termine, derivante dalla letteratura americana (dove gli interventi sono implementati preminentemente in setting scolastici), tradisce una visione dell’intervento di tipo meramente pedagogico. Molti operatori applicano, quindi, il concetto di passaggio di insegnamento anche all’intervento con i genitori, provando a passare loro tecniche e metodologie tipiche del loro ambito di riferimento (solitamente ABA, ma non solo).

Questa tipologia di parent training, pur degna di rilievo, ha dal mio punto di vista una serie di inevitabili limitazioni. In primis, i genitori non sono terapisti, quindi, pur ricevendo un’adeguata preparazione teorica non potranno mai comportarsi come se lo fossero. In secundis, i genitori passano con i propri figli un quantità di tempo che non permette loro di applicare le metodologie impiegate comunemente durante la terapia diretta.

La vita quotidiana non permette l’applicazione di programmi che pure funzionano in contesti maggiormente strutturati (l’estinzione al supermercato semplicemente non può, e non deve, funzionare).

Ultimo, e forse più importante, i genitori partono da una dimensione affettivo-relazionale completamente diversa da quella dei terapisti. Quest’aspetto, se vogliamo banale, ha una rilevanza che non può essere tralasciata quando si chiede ad un genitore di partecipare al trattamento del bambino.

Quando si prova ad includere un genitore con un approccio meramente pedagogico, chiedendogli di trasformarsi in terapista, senza tener conto della sua specificità, l’esito potrebbe non sempre essere roseo. Molto frequentemente ci si trova di fronte a drop-out, liquidati successivamente con definizioni come “genitori non collaboranti” (a ragione mi viene da aggiungere). Questo processo esita in un meccanismo di delega verso il terapista, visto come unico competente, e finisce per impoverire le risorse del sistema curante-curato.

Tirando le somme dunque, sarebbe a mio avviso auspicabile una maggiore sensibilizzazione sul tema dell’inclusione genitoriale nel trattamento dei bambini con ASD, la creazione di un sistema di formazione maggiormente strutturato che tenda alla ricerca di una sintesi tra i vari modelli ed infine la restituzione da parte dei professionisti delle competenze della cura ai principali protagonisti dello sviluppo sociale ed emotivo dei bambini (con e senza ASD), ovvero i genitori.

La terapia mediata dai genitori offre, quindi, un nuovo modello di trattamento ad operatori e familiari attraverso un  intervento relativamente a basso costo (non richiede una intensività del trattamento diretto), ad alto impatto (potenzialmente attivo 24 ore su 24), ecologico (non richiede l’allontanamento del bambino dai servizi della comunità), facilmente divulgabile (non richiede la formazione di un numero elevato di professionisti) e, cosa non trascurabile in questo particolare momento storico, logisticamente differibile (si può effettuare attraverso i canali di telecomunicazione).

Consigli di lettura

Bearss, K., Burrell, T. L., Stewart, L., & Scahill, L. (2015). Parent training in autism spectrum disorder: What’s in a name?. Clinical child and family psychology review, 18(2), 170-182.

Green, J., Charman, T., McConachie, H., Aldred, C., Slonims, V., Howlin, P., … & Barrett, B. (2010). Parent-mediated communication-focused treatment in children with autism (PACT): a randomised controlled trial. The Lancet, 375(9732), 2152-2160.

Pickles, A., Le Couteur, A., Leadbitter, K., Salomone, E., Cole-Fletcher, R., Tobin, H., … & Aldred, C. (2016). Parent-mediated social communication therapy for young children with autism (PACT): long-term follow-up of a randomised controlled trial. The Lancet, 388(10059), 2501-2509.

Kasari, C., Gulsrud, A., Paparella, T., Hellemann, G., & Berry, K. (2015). Randomized comparative efficacy study of parent-mediated interventions for toddlers with autism. Journal of consulting and clinical psychology, 83(3), 554.

Rogers, S. J., Estes, A., Vismara, L., Munson, J., Zierhut, C., Greenson, J., … & Whelan, F. (2019). Enhancing low-intensity coaching in parent implemented Early Start Denver Model intervention for early autism: A randomized comparison treatment trial. Journal of autism and developmental disorders, 49(2), 632-646.

Ingersoll, B., & Gergans, S. (2007). The effect of a parent-implemented imitation intervention on spontaneous imitation skills in young children with autism. Research in developmental disabilities, 28(2), 163-175.

Valeri, G., Casula, L., Menghini, D., Amendola, F. A., Napoli, E., Pasqualetti, P., & Vicari, S. (2019). Cooperative parent-mediated therapy for Italian preschool children with autism spectrum disorder: a randomized controlled trial. European child & adolescent psychiatry, 1-12 https://www.researchgate.net/publication/335997767_Cooperative_parent-mediated_therapy_for_Italian_preschool_children_with_autism_spectrum_disorder_a_randomized_controlled_trial

Sistema Nazionale per le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità. Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti. Milano: SNLG 2011. http://angsa.it/book/linea-guida-n-21-il-trattamento-dei-disturbi-dello-spettro-autistico-nei-bambini-e-negli-adolescenti/

National Institute for Health and Care Excellence (NICE). (2013). The management and support of children and young people on the autism spectrum. NICE clinical guideline 170. London, UK: NICE

Keynejad RC, Dua T, Barbui C, Thornicroft G. WHO Mental Health Gap Action Programme (mhGAP) Intervention Guide: a systematic review of evidence from low and middle-income countries. Evid Based Ment Health. 2018 Feb;21(1):30-34. doi: 10.1136/eb-2017-102750. Epub 2017 Sep 13. Review. PubMed PMID: 28903977

Althoff, C. E., Dammann, C. P., Hope, S. J., & Ausderau, K. K. (2019). Parent-Mediated Interventions for Children With Autism Spectrum Disorder: A Systematic Review. American Journal of Occupational Therapy, 73(3), 7303205010p1-7303205010p13.

Bai, D., Yip, B. H. K., Windham, G. C., Sourander, A., Francis, R., Yoffe, R., … & Gissler, M. (2019). Association of genetic and environmental factors with autism in a 5-country cohort. JAMA psychiatry, 76(10), 1035-1043. https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/article-abstract/2737582

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