Carteggi di Psicologia
Imitare comunicare autismo

Promuovere le abilità imitative in bambini con Autismo

Imitare o comunicare?

Guardo Mattia. È il nostro primo giorno insieme. È assorto nei suoi giochi. Sta muovendo avanti e indietro una macchinina rossa da circa 5 minuti. Nonostante abbia tirato fuori tutto il mio armamentario da pagliaccio, nasi rossi, palloncini e trombette, il percorso regolare e ciclico tracciato dall’auto sembra essere più interessante per lui. Mi siedo al suo fianco e decido di attenderlo. Passano altri minuti, ma niente da fare. Anzi si stende a terra e continua il suo gioco sotto il letto.

Sfoglio a mente tutti i libri dell’università, dei master, le slides delle lezioni, i consigli dei supervisori. Escludo alcuni esempi visti in passato. Prendere per le mani il bambino e portarlo a darmi attenzione non mi sarebbe utile. Ho bisogno che sia lui a provare interesse nei miei confronti. Ho bisogno di dargli un motivo per fargli fare una cosa difficilissima, interagire e comunicare con me in modo socialmente accettabile. Provo a toccarlo, a fargli il solletico. Il risultato è che si infila interamente sotto il letto, dandomi le spalle. Niente da fare.

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Proprio mentre penso di essere il peggior terapista della storia, sento una canzoncina appena accennata “Twinkle, Twinkle, Little Star…”. Mi stendo a fianco lui e ripeto “Twinkle, Twinkle, Little Star”. Mattia si gira, mi guarda,sorride. E poi di nuovo di spalle.

È un secondo, ma è un inizio.

Questa banale sequenza di eventi rappresenta l’avvio di un intervento psicoeducativo con un bambino con Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD). Come è noto, le aree di maggior compromissione di questi bambini sono proprio la comunicazione e l’interazione sociale. Quando si inizia un percorso psicoeducativo con un bambino come Mattia, diventa di estrema importanza porsi come una fonte di stimoli gradevoli. Questo passaggio diventa tanto più complesso, quanto più compromessa è l’abilità socio-comunicativa e quanto più ristretta è l’area degli interessi.

Quando un bambino ha molti interessi, è facile fornirgli in continuazione dei giochi. Quando un bambino ha delle buone capacità di entrare in relazione, è facile mettersi a giocare con lui, ad esempio con un gioco fisico, come il solletico, o facendolo saltare.
Quando un bambino ha delle buone capacità comunicative, questo passaggio diventa ancora più facilitato.

Mattia, invece, mostra una grave compromissione in tutte le aree e questo momento diventa quindi estremamente complesso. Il rischio è che il terapista, frustrato dalla continua mancanza di interesse del bambino, possa portarlo per mano a fare le attività programmate, distogliendolo dalle sue aree di interesse.

Portare per mano un bambino a svolgere un’attività, da un lato potrebbe migliorare l’abilità del bambino nella risposta comportamentale, dall’altro potrebbe non creare le condizioni perché si possano generare comportamenti di avvio dell’interazionesocio-comunicativa da parte del bambino. L’avversività (legata alla sottrazione dagli stimoli a lui graditi) rende, infatti, molto più probabile l’evitamento delle interazioni e delle comunicazioni sociali e l’emissione di comportamenti problematici, allo scopo di sottrarsi da tale condizione. I comportamenti socio-comunicativi possono essere, infatti, distinti in comportamenti di avvio e di risposta. Tra i primi possiamo menzionare alcuni comportamenti come indicare, chiedere attenzione, fare una richiesta, mostrare un oggetto, iniziare un gioco, avvicinarsi all’altro etc. Tra i secondi invece possiamo menzionare comportamenti come guardare ciò che viene indicato, seguire delle istruzioni, partecipare ad un gioco proposto etc. L’abilità di rispondere a una interazione socio-comunicativa non implica necessariamente l’abilità di avviare un comportamento socio-comunicativo. Sono due abilità separate, che richiedono condizioni diverse per essere “allenate”.

Tornando allo sketch iniziale, cosa è successo invece a Mattia nel momento in cui ho ripetutola sua canzone? Alcuni processi interessanti, guardiamoli uno alla volta.

  1. Riduce la sua attività ripetitiva.
  2. Mi guarda negli occhi, segnalandomi socialmente che ha individuato la mia presenza all’interno della stanza.
  3.  Mi sorride. Mi sta comunicando che stiamo condividendo qualcosa di interessante.

In termini tecnici, Mattia sta avviando una piccola, breve e intensa cooperazione basata su un momento di attenzione condivisa. . Anche se solo per un secondo, Mattia sta padroneggiando un comportamento che per natura della sua stessa diagnosi sarebbe deficitario. In aggiunta, Mattia inizia ad associarmi ad uno stimolo piacevole, favorendo il processo di pairing (1), oltre che di costruzione del legame.

(1) Con Pairing in questo caso si intende quel processo di appaiamento del terapista (stimolo neutro) a stimoli preferiti (giochi, canzoni, attività etc.). Tramite il continuo appaiamento tra la presenza del terapista e gli stimoli graditi, il terapista acquisisce egli stesso proprietà “rinforzanti” facilitando quindi la compliance e le risposte comportamentali positive del bambino.

Cosa ha permesso a Mattia di accedere a un repertorio di abilità socio comunicative così compromesso?

La risposta che negli anni mi sono dato è molto complessa e in questo breve articolo mi limiterò alla descrizione di un solo fattore: “l’imitazione”. La mia imitazione del comportamento del bambino ha attivato un vero e propria comunicazione: sincronia, alternanza del turno e attenzione congiunta hanno fatto parte del nostro breve scambio, rendendolo a tutti gli effetti un momento comunicativo (Nadel, 2016).  Possiamo trovare esempi simili anche nella vita quotidiana. Quando due persone si incontrano, si salutano utilizzando lo stesso termine, ad esempio “ciao”. Se uno dei due alza la mano, accompagnando il saluto vocale ad un saluto non vocale, aumenta la probabilità che anche l’altro lo faccia. In altri termini, per iniziare a comunicare ci imitiamo reciprocamente.

L’imitazione è uno dei canali di socio-comunicativi principali durante l’infanzia.

I genitori questo lo sanno molto bene quando, nelle interazioni faccia a faccia con il proprio bimbo, iniziano ad scimmiottare ogni sua espressione, ogni suo movimento, attivando quelle che Threvarthen (1977) chiama protoconversazioni. I bambini a sviluppo tipico, infatti, sono in grado di imitare alcuni movimenti sin dalla nascita, come tirare fuori la lingua (Meltzoff, 1977) o sbattere le palpebre (Kugiumutzakis, 1999). Osservando una bambina a 20 minuti dalla nascita, Kugiumutzakis, nel 1983, ha notato come questa fosse già in grado di partecipare a uno scambio cooperativo. In particolare la bambina era in grado di spostare la sua attenzione dalla bocca dell’adulto agli occhi e ai gesti dello stesso, mentre  era in attesa di una risposta dell’interlocutore.

Un altro dato che ci fa comprendere l’importanza dell’imitazione nello sviluppo socio-comunicativo del bambino è quello relativo alla quantità di tempo che bambino e genitore passano ingaggiati nella stessa. Nel periodo di veglia, il bambino passa circa il 65% del tempo in interazioni vis-à-vis con la madre. In questi momenti le madri utilizzano l’imitazione quasi 5 volte in più rispetto ad altre forme di scambio: questa proporzione rimane stabile fino a 12 mesi di vita del bambino (Uzgiris et al., 1989). È evidente che si tratta di abilità di interazione ed imitazione molto grezze, che vengono affinate in dei veri e proprio “training” naturali negli anni a venire tramite le interazioni con genitori, pari, e figure significative.

Come è ovvio aspettarsi, nei primi mesi di vita, le imitazioni dei genitori verso i bambini sono maggiori in numero, rispetto a quelle dei bambini verso i genitori (Papousek e Paousek, 1977).  Con l’aumentare dell’età, le imitazioni da parte del bambino crescono in quantità e qualità, fino ai 9-12 mesi, età in cui lo scambio comunicativo basato sull’imitazione appare in modo più evidente anche ad un occhio non clinico.

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Pubblicato da Challenge su Martedì 9 ottobre 2018

Sembrerebbe a questo punto assumere un senso, il dato riportato in letteratura (Isabbagh, 2013), su un gruppo di neonati che ha successivamente ricevuto diagnosi di Autismo. Questa ricerca ha rilevato un deficit nella capacità di spostare l’attenzione in modo fluido da una parte interessante del volto ad un’altra, segnalando quindi una probabile disfuzione a carico delle funzioni esecutive (2), funzioni di ordine superiore molto importanti per lo sviluppo della cognizione sociale (3). In un altro studio su bambini con ASD, è stato rilevato un aumento del tempo di fissazione dello sguardo sulla bocca della persona con cui si sta interagendo,invece che sugli occhi, come da sviluppo tipico (Merin et al., 2007).

(2) Le funzioni esecutive sono un complesso sistema di moduli funzionali della mente, che regolano i processi di pianificazione, controllo e coordinazione del sistema cognitivo, e che governano l’attivazione e la modulazione di schemi e processi cognitivi. 
(3) La cognizione sociale si riferisce ai processi che sottondono il comportamento di risposta verso i conspecifici (altri individui della stessa specie), e, in particolare, a quei processi cognitivi superiori che sottostanno ai comportamenti sociali estremamente diversi e flessibili che si osservano nei primati (Adolphs, 1999)

Se alcune delle abilitànecessarie al bambino per ingaggiarsi in comportamenti di imitazione reciproca,come riuscire a spostare l’attenzione da una parte dall’altra del volto, o cogliere le parti “socialmente significative” dello stesso, sono compromesse sin dai primi giorni di vita, il deficit socio comunicativo nell’area di imitazione reciproca ne sarà, in qualche modo, una naturale conseguenza. Tale deficit comporta una perdita per il bambino di importanti occasioni di apprendimento di ulteriori abilità sociali e comunicative, che sono invece presenti nei bambini a sviluppo tipico.

Di questo, e molto altro ancora, si parlerà nel workshop “L’imitazione nello sviluppo tipico e atipico Promuovere l’imitazione nei bambini con Disturbi dello Spettro Autistico” del 16 – 17 Marzo 2019 a Roma con Jaqueline Nadel, direttrice del CNRS (centro Nazionale di Ricerca Francese) di Parigi. In data 12 Maggio 2019, verrà svolta inoltre una terza giornata per un gruppo ristretto di partecipanti (20), dedicata allo studio delle scale di imitazione e alla supervisione di alcuni casi.

Clicca sulla locandina per maggiori informazioni sull’evento.

L'imitazione nello sviluppo tipico ed atipico.
per informazioni infocoeduco@gmail.com

Bibliografia

Adolphs R., (1999), Social cognition and the human brain. Trends, Cogn. Sci. 3, 469-479. 2.

Kugiumutzakis, G. (1999). Genesis and development of early infant mimesis to facial and vocal models. In J. Nadel & G. Butterworth (Eds.), Cambridge studies in cognitive perceptual development. Imitation in infancy (pp. 36-59). New York, NY, US: Cambridge University Press.

lsabbagh M, Fernandes J, Webb S, Dawson G, Charman T, Johnson M. British Autism Study of Infant Siblings Team. Disengagement of visual attention in infancy is associated with emerging autism in toddlerhood. Biol
Psychiatry. 2013;74:189–194. doi: 10.1016/j.biopsych.2012.11.030.

Meltzoff, A. N., & Moore, M. K. (1977). Imitation of facial and manual gestures by human neonates. Science, 198, 75-78.

Merin N, Young GS, Ozonoff S, Rogers SJ. Visual fixation patterns during reciprocal social interaction distinguish a subgroup of 6-month-old infants at-risk for autism from comparison infants. Journal of Autism and Developmental Disorders. 2007;37:108–121.

Nadel, J. (2016). Imitare per crescere. Nello sviluppo infantile e nel bambino con autismo. Roma: Giovanni Fioriti Editore

Papousek H., Papousek M. (1977) Mothering and the cognitive head-start – J. Am. Psychoan.

Trevarthen, C. (1977). Descriptive analyses of infant communicative behavior. In H. R. Schaffer (Ed.), Studies in mother-infant interaction (pp. 227-270). London: Academic Press.

Užgiris, I. Č., Benson, J. B., Kruper, J. C., & Vasek, M. E. (1989). Contextual influences on imitative interactions between mothers and infants. In J. J. Lockman & N. L. Hazen (Eds.), Perspectives in developmental psychology. Action in social context: Perspectives on early development (pp. 103-127). New York, NY, US: Plenum Press.


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