Carteggi di Psicologia
fatica - lavoro

Gli studi sulla “Fatica” umana nei contesti lavorativi.

Gli studi sulla “fatica” umana nei contesti lavorativi furono i primi passi per lo sviluppo della psicotecnica , dove l’uomo era visto come produttore di energia attraverso l’attività muscolare; in quest’ottica era ritenuto importante conoscere come esso funzionasse posto in determinate condizioni. La fatica veniva studiata nelle sue caratteristiche esterne, fisiche e strutturali, sulle quali si doveva intervenire in termini trasformativi per motivi di efficienza e per migliorare l’adattamento dell’uomo alla macchina[1]. In questo clima le ricerche dedicate alla fatica acquistarono valore grazie alla costruzione di vari strumenti finalizzati alla sua misurazione.

Il miografo di Helmoltz

Fu Hermann von Helmoltz (1821-1894) il primo a costruire uno strumento che consentisse di descrivere le modificazioni dell’attività muscolare causate dal sopraggiungere di alterazioni materiali e funzionali determinanti la fatica. Egli utilizzò il metodo grafico nell’esame dei movimenti muscolari, mettendo a punto nel 1850 il “miografo“, uno strumento che registrava il momento dell’applicazione dello stimolo sul nervo o direttamente sul muscolo e tracciava graficamente l’intera curva della reazione muscolare chiamata miogramma[2].

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Il miografo di Helmoltz diede l’avvio alla costruzione di alcune sue varianti: il “miografo comparativo”, utilizzato per confrontare la contrazione normale con quella modificata da diversi agenti come il caldo e il freddo, e il “miografo a trasmissione” utilizzato per la registrazione delle curve muscolari anche a distanza. La nascita e lo sviluppo di tali strumenti testimoniano il forte interesse per lo studio della funzione meccanica dei muscoli considerati gli “organi attivi” del corpo umano.

L’ergografo

Dalla revisione dei miografi helmoltziani, Angelo Mosso (1846-1910) costruisce il suo ergografo[3]. Mosso, che era stato allievo, in Germania, del fisiologo Ludwig direttore del laboratorio di fisiologia all’Università di Lipsia, inventore del chimografo, arrivò in Italia nel 1874 per lavorare nel laboratorio di fisiologia dell’Università di Firenze e poco dopo, nel 1879, venne nominato ordinario di fisiologia all’Università di Torino. Negli anni ’80 Mosso disponeva di un attrezzatissimo laboratorio di fisiologia a Torino e nel 1896 fece allestire anche un laboratorio di psicologia che affidò a Federico Kiesow (1858-1940), proveniente dall’Università di Lipsia dove era stato assistente di Wundt. Il laboratorio di fisiologia di Torino divenne il centro di emanazione della ricerca fisiologica e psicologica in Italia: molti fisiologi e psicologi italiani della prima metà del secolo come Vittorio Aducco, Arnoldo Maggiora, Mariano L. Patrizi, Zaccaria Treves, Giulio Fano, Gino Galeotti e Agostino Gemelli si formarono proprio con Mosso o, quanto meno, passarono presso di lui un certo periodo di apprendistato[4].

Dai tracciati ottenuti con l’ergografo[5], chiamati “ergogrammi”, Mosso ricavò importanti informazioni racchiuse nella sua opera del 1891 La Fatica, evidenziando come non fossero i nervi, ma il muscolo a trovarsi spossato in seguito ad un lavoro intenso del cervello e che quindi la fatica non fosse solo una dimensione fisica ma anche una dimensione psicologica, dimostrò così come attività psichiche, tipo la memoria e l’attenzione, influenzassero la forza e la resistenza fisica[6]. Questi di Mosso furono i primi tentativi di operativizzazione delle tecniche psicofisiologiche in Italia; tali tecniche applicativo-strumentali adottate dal laboratorio torinese costituirono la base delle successive ricerche ergografiche sulla fatica, tema centrale degli esordi della psicotecnica, per prevenire lo stress e adattare il lavoratore alle condizioni di lavoro.

Oltre all’opera di Mosso è importante evidenziare quella di Sante De Sanctis (1862-1935) che, occupandosi di orientamento e di selezione del personale lavorativo, parla di “fatica umana” ritenendola una variabile rilevante nella determinazione dell’efficienza produttiva e del rendimento lavorativo. De Sanctis sosteneva che in ogni lavoro umano vi fosse un fine da conseguire, un valore da produrre, uno sforzo da compiere e da tutto ciò risultava un consumo di energia e una fatica nervosa. Egli rilevò come tanto il compito, quanto il ritmo, il carico, l’interesse e la fatica avessero un’influenza decisiva sia sul lavoro fisico che su quello mentale. Nel particolare, il “compito” era l’espressione più alta della volontarietà e influenzava in modo determinante l’azione, il rendimento, la percezione e la memoria del lavoratore; il “ritmo” influenzava il rendimento nonché la produzione ed era collegato con il “carico” del lavoro tanto che se, lungo il decorso del lavoro, esso veniva proporzionato alle possibilità energetiche di chi lo doveva sollevare, i muscoli si affaticavano meno; “l’interesse”, dal canto suo, influiva sull’aumento di produzione[7].

La fatica era così ritenuta una rilevante perché occupava un ruolo decisivo nello svolgimento dei compiti. Infatti, in maniera proporzionale al tipo di fatica che veniva ad attivarsi, potevano presentarsi gravi perturbamenti psichici in grado di determinare stati di inquietudine, irritabilità crescente, crisi nonché isteria[8]. A tal proposito, De Sanctis distingueva tre forme di fatica: la piccola fatica, intesa come conseguenza dello sforzo, non temibile; la grande fatica, intesa come accumulo di sforzi per mancanza di brevi pause; l’esaurimento, come logorio neuro-muscolare che comportava un disquilibrio energetico durevole e nevrastenia nei lavoratori costituzionalmente predisposti. Le tre forme di fatica caratterizzavano tanto il lavoro in officina di un adulto quanto quello scolastico di un bambino.

Tra i vari studi condotti sul tema della “fatica umana”, furono importanti anche i contributi di Mariano L. Patrizi (1866-1938) sulle oscillazioni del lavoro muscolare a seconda dell’età, a seconda delle diverse ore della giornata, in rapporto con la curva  termica giornaliera (sotto l’azione del caldo e del freddo). E’ proprio a Patrizi che risale l’ideazione di un nuovo ergografo, chiamato “ergografo crurale” e la fondazione a Modena, nel 1889, di un laboratorio di psicologia sperimentale applicata al lavoro[9].


[1] Sinatra M., (1999), L’aurora della psicotecnica, Edizioni Laterza, Bari.

[2] Ibidem.

[3] Uno strumento che registrando la fatica muscolare durante il lavoro mentale, permetteva la traduzione del lavoro muscolare in “lavoro meccanico”. Questo veniva fissato ad un tavolo ed era composto di due parti: l’“apparecchio fissatore della mano” e il “carrello registratore”.

[4] Sinatra M., (1999), L’aurora della psicotecnica, op.cit.

[5] L’ergografo di Mosso era costituito da una placca di ghisa su cui veniva fissata, tra due cuscinetti, la mano in posizione semisupina, escluso il dito medio, che andava inserito in un anello di cuoio. Dall’anello partiva una corda che si collegava ad un peso. Il dito, nel flettersi per sollevare il peso, compiendo uno sforzo, faceva scorrere un carrello, ossia un miografo che, per mezzo di una punta, registrava il grado di flessione su di un chimografo.

[6] Sinatra M., (1999), L’aurora della psicotecnica, op.cit.

[7] De Sanctis S., (1929), Psicologia Sperimentale, Vol. I, Psicologia Generale, Stock, Roma

[8] Ibidem.

[9] Sinatra M., (1999), L’aurora della psicotecnica, op.cit.

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