Ho avuto l’occasione di vedere il film della Pixar: Red (Turning Red nel titolo originale). Nel complesso un film ampiamente godibile, ma non è una recensione quella che vorrei scrivere.
È il tema che mi ha colpito, chiaramente anche per un vissuto personale, l’ingresso nella pubertà. Quel mix di cambiamenti fisici, ormonali, umorali, di relazioni e aspettative che (s)travolgono i ragazzi e le loro famiglie. In breve, la protagonista è in quella fase e tutto cambia: la bambina perfetta si trova vivere le prime passioni, pulsioni, desideri di ribellione, sentimenti di inadeguatezza e… diventa un panda rosso.
Meilin Lee, la star, dovrà trovare le nuove misure per interagire con: la mamma, carica di aspettative, ansie, paure e relazioni familiari irrisolte; la nonna, che rappresenta l’austera tradizione; le amiche, che sono quella rete sociale che le permette di compiere il passo nel mondo adulto, ma le ricordano anche quanto sia importante la lealtà; le zie, le truppe armate pronte a battersi per la famiglia; e il mondo esterno che, come tale, porta con sé timori, insidie, sfide, ma anche opportunità, divertimento e tutto il resto.
E il padre? L’uomo (maschio) dov’è?
È in un cantuccio: cucina, assiste a tutte le vicende e ricorda come il panda della mamma fosse “gigante” e si scatenasse per lui.
Se sei un padre, e non fai il ginecologo, prova a dire ad alta voce “mestruazioni” e a sentirti a tuo agio.
Il mondo lo sa: non è materia tua. Sai solo, per sentito dire, quello che ti hanno raccontato. Quello che accade, come accade, ciò che si prova, come ci si sente, è esterno alla tua realtà.
Per il maschio la pubertà è storicamente rappresentata dall’’abbandono del mondo dei giochi e l’ingresso nel mondo del dovere. Dal mondo del “puoi” al mondo del “devi”. La presa in carico delle responsabilità e il far parte della comunità.
Per i nostri simili (maschi) al massimo il passaggio alla pubertà comportava legarsi una corda ad un piede, gettarsi da una torretta e, se fossimo sopravvissuti, imbracciare una lancia e… via a caccia con tutti gli altri. È normale che quando si tratta di prime cotte adolescenziali e mutazioni nei rapporti familiari, ci taglino fuori dalla discussione. Cosa potremmo aggiungere? Non è più comodo anche per noi lasciare che questa resti una materia femminile? Possiamo cavarcela con un “chiedi alla mamma”, nessuno se ne avrà a male.
Pensandoci un attimo, però, alcuni di questi temi non sono così distanti.
Prime cotte adolescenziali. Quella del primo banco, la più carina… (Venditti docet). Magari potremmo raccontare a nostra figlia che se il compagno di classe le tira i capelli e poi scappa a ridere dagli amichetti dell’ultima fila, non è perché la sta prendendo in giro. Magari lui, come capitava a noi tanti anni fa, non sa come andarle a parlare.
Cambiamenti fisici. Ci ricordiamo quando dovevamo fare la doccia con i compagni di squadra e qualcuno aveva sviluppato e qualcuno no? Ecco, su questi temi potremmo scrivere un libro. Magari potremmo decidere di non condividere le nostre esperienze, ma il vissuto lo conosciamo.
Aspettative sociali e familiari. Un uomo non piange. In famiglia si fa così. Alle compagne di classe piacevano Brad Pit, Bono Vox, Axl Roses, Magnum P.I., ecc. e noi dovevamo trovare il modo di dire a mamma che avevamo preso un’insufficienza. Mi sa che anche qui una certa expertise potremmo averla.
E poi siamo proprio così sicuri che sia necessaria l’esperienza in prima persona per parlare di un argomento? Il cardiologo deve aver avuto un infarto per poterne parlare? E ancora, non vale comunque quel principio per cui è il syumpathos, quel sentire insieme, a fare la differenza?
Si potrebbe valutare la possibilità che il punto di vista maschile, quello del padre, possa essere un valore aggiunto? È possibile pensare che il padre, conoscendo da una dozzina di anni quell’esserino che circola per casa, possa dare qualcosa di aggiunto al punto di vista femminile.
E in conclusione, se una donna può diventare Presidente della Repubblica e Diletta Leotta può parlare di fuorigioco, un maschio può parlare di mestruazioni.
Leggi la risposta a questo articolo “anche i papà piangono e possono dire la parola tampax” e raccontaci il tuo pensiero nei commenti!
4 commenti su “Red – riflessioni sulla pubertà delle figlie”
Bellissimo articolo!
Si, anche i papà possono dire “mestruazioni” senza sentirsi inopportuni. Ed il punto di vista maschile è fondamentale per crescere bene.
Le donne conoscono quello che è donna; ipotizzano, anche sbagliando, quello che è uomo.
Grazie Bes, avanti tutta e stay tuned!
Bello l’articolo e interessanti gli punti che offre: io credo che un papà abbia diritto e dovere di parola, anche su temi storicamente considerati ad esclusivo appannaggio della parte femminile della famiglia. È importante però capire bene qual è il proprio ruolo nella faccenda: portare il nostro vissuto può dare maggiori strumenti alle nostre figlie per affrontare quel fenomeno universale e dirompente che è la pubertà; tuttavia è necessaria da parte nostra la sensibilità per “camminare in punta di piedi” su un sentiero che con un figlio maschio percorreremmo in maniera più disinvolta o addirittura goliardica.
Mi piace davvero molto questo articolo.
Personalmente dico di sì!!! Il punto di vista dei papà è certamente un valore aggiunto. Anche i papà possono parlare di mestruazioni, possono accompagnare le figlie a comprare un reggiseno o gli assorbenti, senza doversi sentire fuori posto . Questa interazione permette ad entrambi i mondi , quello maschile e femminile, di confrontarsi senza timore.