Ho visto Il lungometraggio “Soul” di Pixar Animation Studios e mi sono domandato: andrebbe fatto vedere ai bambini?
Tocca tanti temi, ma 2 temi su tutti mi hanno colpito: la morte e la personalità. Questi temi, così sensibili, li tratta con una delicatezza tale che risulta fastidioso per chi, come me, è abituato a criticare.
La morte, spauracchio per tutti; incubo spesso inespresso di grandi e piccini, è presente nel film, ma solo di riflesso. È un incidente della vita, mai affrontata direttamente, ma solo come causa dell’interruzione dei progetti e degli accadimenti. Immaginate che, esattamente nel target di età del cortometraggio, ci sono i bambini/ragazzi che trovano nella scomparsa dei loro cari, ed in particolare dei loro genitori, la paura più grande.
Trattare di morte, quindi, è uno degli aspetti più scivolosi che deve affrontare chi, come la Disney, si rivolge principalmente al pubblico dei preadolescenti.
La morte c’è, come dicevamo, nella forma accidentale; non è definitiva ed è fonte di riflessione più che di perdita. In quanto elemento della vita, la morte ti porta a riflettere su come dovresti condurre la tua vita. In un’ottica epicurea (carpe diem), il messaggio sotteso è quello di godersi il viaggio più che la meta. Ecco, quindi, che gli obiettivi (intesi come mete da raggiungere) sfumano la propria importanza, i traguardi diventano meno fondamentali e… coloro i quali sono sempre dediti ad un pensiero, diventano ombre ossessionate.
Io sono cresciuto con Holly e Benji, cartone animato nel quale alcuni personaggi (Julian Ross ad esempio) erano pronti a morire di infarto in campo pur di giocare a calcio. Con Jeeg Robot d’acciaio in cui Hiroshi molla tutto, la sua vita e la sua carriera, e si dedica a combattere mostri per salvare la terra. Con Mimì Ayuhara che si faceva prendere a pallonate otto ore consecutive dall’allenatore con gravi problemi di personalità (il Demone), pur di giocare in nazionale.
Il messaggio di Soul, invece, è: “Scialla!!!”.
Non voglio polarizzare le opinioni e neanche trovare sintesi tra i due punti di vista, ma è chiaro che il messaggio implicito tra i due stili di cartoni animati è distante e lo è tanto. Quaranta anni fa, tanto è passato dalla nascita di quei cartoni animati giapponesi, i messaggi per i ragazzi erano: sacrificati, impegnati, dedica la tua vita e, forse, avrai una soddisfazione. Soul, e in realtà molti lungometraggi classici Disney, invece mandano un messaggio più effimero, leggero, per alcuni versi “salvifico”.
Può capitarti un evento, se sei meritevole, che ti cambia la vita: una lampada, un ballo, un bacio, una strega che fa l’incantesimo. Non saprei dire se le distanze siano riconducibili a questioni generazionali, a Continenti differenti, o solo a registi con visioni differenti; quel che è certo è che il messaggio implicito cambia molto.
Anche sulla formazione della personalità in Soul ha un punto di vista simile.
Su questo tema molto si è dibattuto in Psicologia. Alcuni teorizzano che la personalità di un individuo sia qualcosa di innato, altri, invece, che si formi durante i primi anni di vita.
Soul sembra propendere per un’ipotesi innatista: nell’Oltremondo le anime ricevono i loro “tratti” di personalità che porteranno con loro nella vita terrena. Quando in Psicologia si parla di “tratti” ci si riferisce a elementi stabili e fondamentali della personalità di un individuo per tutto l’arco centrale della propria vita (dai 16 agli 80 anni). Il tratto è una disposizione ad agire, a mettere in atto un comportamento, che prescinde dal contesto. Per intenderci, secondo le teorie che seguono questi modelli, i tratti possono essere: coscienziosità, apertura mentale, estroversione, amichevolezza, stabilità emotiva (teoria dei Big Five). Ciascun individuo possiede un livello definito e misurabile di queste dimensioni che porta con sé per tutta la vita.
All’opposto esistono correnti di pensiero secondo cui gli individui nascono “tabula rasa”, l’esperienza e il contesto di crescita formano totalmente le strutture di personalità delle persone. Watson, psicologo comportamentista della metà del Novecento, sosteneva:
“Datemi una dozzina di neonati normali, ben fatti e un ambiente da me organizzato per allevarli e vi garantisco di prenderne uno a caso e di farlo diventare uno specialista del campo da me prescelto: medico, avvocato, artista, commerciante e, sì, persino accattone e ladro, indipendentemente dai suoi talenti, inclinazioni e tendenze, dalle sue capacità, o vocazioni, e dalla razza dei suoi antenati”.
Le implicazioni, anche politiche, derivanti da queste opposte posizioni sono molteplici e, senza entrare nel dibattito, è comprensibile come adottando una o l’altra, si possa spostare la discussione su tanti punti centrali nelle questioni sociali. La correzione o meno dei detenuti, l’educazione nelle scuole, la distribuzione delle ricchezze, la geopolitica, ecc.
Alcuni regimi, nella storia dell’umanità, hanno, più o meno esplicitamente, abbracciato vuoi l’una o vuoi l’altra posizione per sostenere o giustificare alcune scelte politiche. Soul non ne fa una questione politica, ovviamente, e rende invece la questione divertente e umoristica, ma chiaramente sceglie il campo.
Tra le critiche alle visioni dell’impostazione innatista c’è quella per cui questa sia la “scusa” per posizioni de-responsabilizzanti. Il genio è colui che ha avuto il dono. Sono poco socievole non vado d’accordo con le persone, se non capisco la matematica è perché non ho quell’attitudine; se sono un delinquente è perché la natura mi ha fatto violento. Più il peso si sposta su ciò che è innato, più l’allenamento, l’impegno, la fatica, la dedizione diminuiscono di importanza.
In conclusione, quindi, Soul andrebbe fatto vedere ai bambini?
Credo che abbia una visione di fondo diversa dalla mia e, anche per questo, può essere utile per fornire uno spunto più completo sulle cose della vita. E poi è fatto veramente bene.