autori: Andrea Gianfrancesco, Luca Bisceglia e Francesca Cairoli
Un pensiero di fondo, che ormai ci appartiene, ci racconta che le apparecchiature tecnologiche e informatiche influenzano le nostre modalità relazionali in modo radicale, per alcuni migliorandole o almeno rendendole più complesse. Mettere in connessione Sidney con Oslo non stupisce più nessuno, mentre potrebbe farlo il contrario.
Il motivo è che neanche la barriera dello spazio è ormai un limite invalicabile. Eppure qualcosa produce un effetto paradosso, combinando l’iperconnessione e l’isolamento. Soprattutto tra gli adolescenti e i giovani adulti infatti, è sempre più in espansione il fenomeno del ritiro, che sia esso sociale, scolastico o lavorativo.
Un ritiro così singolare da aver avuto bisogno di coniare una parola precisa per chi si trova a vivere questa condizione: hikikomori.
Hikikomori significa letteralmente “stare in disparte”, ed è stato lo psichiatra Saito a utilizzare per primo questo termine per definire una particolare forma di ritiro sociale che si stava manifestando in Giappone, la sua terra.
Un termine estremamente preciso che indica una scelta volontaria di isolamento, un fenomeno che non riguarda in realtà solo il Giappone ma che coinvolge altri Paesi, per così dire, “sviluppati” come Stati Uniti, Australia, Inghilterra, Spagna, la Francia e Italia.
Un ritiro sociale di tale intensità, come il segregarsi in casa e non uscire per mesi o addirittura anni, fino a qualche tempo fa sarebbe stato inquadrato come sintomatologico delle patologie psichiatriche più gravi e invalidanti, con diagnosi riconducibili ai disturbi psicotici o allo spettro dell’agorafobia.
Oggi, invece, gli addetti ai lavori sono portati a rivalutare questi comportamenti alla luce di un’altra ottica, dove la compromissione del funzionamento potrebbe non spiegare completamente cosa accade nelle persone che “compiono questa scelta”.
E’ possibile che il fenomeno degli hikikomori non chiami in causa un funzionamento psicologico e riscontrabile nei quadri clinici più gravi , e che anche in caso di una manifestazione di ansia sociale, potremmo trovarci di fronte a significati diversi da quelli a cui siamo abituati.
Un elemento significativo, e una possibile indicazione sulle dinamiche che coinvolgono il comportamento degli hikikomori, è la combinazione tra ritiro e “vita virtuale”. La scelta del ritiro, che sembra assumere caratteri critici e consapevoli, è infatti, di solito accompagnata ad un uso intenso dei social network o più in generale del web. Una bolla che indica, insieme ad altri fenomeni come l’inversione del ritmo circadiano ( ritmo sonno-veglia) una vera e propria perdita d’interesse in una vita pubblica vissuta in vivo.
Ma attenzione, ritiro e web sono in relazione solo in termini di presenza e non in un rapporto causa-effetto di tipo “deterministico”. Qual è quindi correlazione che può intercorrere tra il ritiro e l’utilizzo di internet?
E’ opinione diffusa che un uso ossessivo dei social network possa condurre a questo tipo di fenomeno. Ma con una lettura così semplificata rischieremmo di “viziare” l’ottica con cui possiamo incontrare questi ragazzi. Un nesso causale di questo tipo infatti non è dimostrabile, mentre può risultare molto più utile leggere quest’associazione nei termini in cui, quello “attraverso lo schermo” può essere un tentativo, magari estremo e zoppicante, di rimanere proprio in relazione con il mondo. Un mondo meno pericoloso di quello vissuto in prima persona.
Spesso questi ragazzi si auto-segregano nella propria stanza (Teo, 2010) e hanno difficoltà a mantenere contatto visivo nei rapporti con gli altri (Wong, 2009). Questa condizione riguarda principalmente persone di sesso maschile, tra i 14 e i 30 anni, con una frequenza maggiore tra i 15 e i 19 anni (Koyama et al., 2010). Per essere definito un caso di Hikikomori bisogna escludere la presenza di psicopatologie sottostanti e pregresse. La letteratura scientifica ha definito questi soggetti come “Hikikomori primari”, mentre in altri casi si parla di “Hikikomori secondario” quando questo atteggiamento è il risultato o la conseguenza di una malattia mentale.
Quali sono i fattori di rischio per l’hikikomori? Come si può intervenire in queste situazioni?