Carteggi di Psicologia

Disturbi alimentari: cause e cura

Quali sono le cause dei disturbi alimentari?

Nella società occidentale, sempre più soggetta a influenze dettate da giudizi sugli aspetti formali ed esteriori della nostra immagine, sembra aumentare il numero di persone che costruiscono la loro identità sugli aspetti direttamente osservabili, perdendo le abilità di riconoscere e di basarsi sulla propria interiorità ed autonomia.

Il successo effimero, le “scorciatoie”per raggiungerlo, le mete facili ed eccezionali, le apparenze “perfette”, le frequentazioni esclusive, le mode irrinunciabili, sembrano sempre più diventare gli obblighi indispensabili ad una seppur minima accezione di se. Alcuni studi sostengono una connessione tra le caratteristiche sociali appena elencate e il un notevole aumento di casi Disturbi della Condotta Alimentare (DCA) – (De Pascale A., et al., – 2014).

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Le persone che soffrono di DCA arrivano ad intravedere un percorso di psicoterapia solo dopo molti anni in cui il disturbo ha avuto il tempo di esprimersi e stabilizzarsi con dei sintomi ormai cronicizzati e difficili da scardinare.

In linea con i lavori di Guidano e di Reda e sulla base del pensiero post-razionalista alcune domande si affacciano all’orizzonte: qual è la condizione ambientale che favorisce un DCA? Chi sono i soggetti che ne soffrono? Come si può intervenire e restituire un equilibrio emotivo a questi pazienti?

Una panoramica sulle attitudini familiari mostra un’adesione costante ed indiscussa ad aspetti formali di ruolo, ed una scarsa attenzione alla persona ai bisogni e ai segnali che essa manifesta (Gobbi et al. 2006). I genitori effettuano su bambini ed adolescenti anticipazioni e ridefinizioni di emozioni che, per forza di cose, debbono andare in una direzione già definita, designata da standard preconfezionati ed uguali per tutti (Guidano, 1992). Raramente si fa spazio per ascoltare il bimbo con le sue caratteristiche e le sue necessità, frequentemente si stabilisce una reciprocità in una famiglia poco empatica.

Fin dall’infanzia, le persone che in futuro sviluppando un DCA, per essere accolti e risultare efficaci si conformano ad un contesto e mettono da parte le proprie sensazioni, imparando ad avere come punto di riferimento costante il mondo esterno.

Senza avvicinarsi ai propri bisogni sviluppano un senso di sè vago ed indefinito; gli stati interni vengono percepiti con difficoltà e considerati inattendibili. Le emozioni e le sensazioni personali non vengono né ascoltate né valutate, così il bambino e in seguito l’adulto, si affida prevalentemente alle figure di riferimento presenti per avere un senso di sé sufficientemente stabile e coerente.

La persona non riconosciuta e non capita quindi si percepisce come negativa e non adeguata, sviluppando con il tempo una bassa autostima una necessità di perfezionismo e un pensiero di tipo tutto o nulla.

L’approvazione dell’altro è fondamentale e viene considerata come punto di riferimento,  perciò le disconferme effettuate dal esterno sono affrontate come un attacco alla propria persona. Tutto diventa una prestazione e un dover dimostrare di essere al altezza, per potersi guadagnare l’approvazione dell’altro.

L’organizzazione della coppia genitoriale che favorisce il delinearsi di DCA sovente manifesta da una parte una madre fin troppo presente svalutante, ansiosa e invadente e dal altra un padre fantasma che fa capolino solo nei momenti di eccezionale emergenza e con un atteggiamento fin troppo autoritario (Blanco et al. 2005). Di conseguenza si evolve un rapporto tra genitori e figli che presenta un’ “attaccamento ambiguo o confuso”.

Questo caratteristico contesto familiare spesso facilita  lo sviluppo di ciò, che è stata chiamata da Guidano, “sensibilità al campo” o campo-dipendenza (Guidano, 1988, 1992, 2007). Nardi (2007) chiama contestualizzate, questo tipo di personalità che mira, con una sintonizzazione sul esterno a controllare quanto accade sia dentro che fuori di sé, anche se proprio quello che accade al di fuori di sé viene vissuto e percepito come un qualcosa di imprevedibile e dovuto al caso, ad una coincidenza fortuita: questa modalità di orientarsi verso esterno viene chiamata outward.

Implicitamente il soggetto sviluppa un tipo di agito che viene aggiornato “on-line”, in costante collegamento con l’esterno e con il mondo che lo circonda. Tale agito, associato alla necessità continua di essere sempre al altezza, fa diminuire la ricerca di esperienze sociali che esulano dall’ambiente familiare protetto e conosciuto e aumenta un evitamento, prima selettivo,  poi sempre più generalizzato di situazioni che richiedono l’esposizione e la definizione di se stessi.

Emozioni di base, come paura, rabbia, disperazione, curiosità e gioia vengono disconosciute e non considerate per paura di non ricevere la conferma tanto desiderata e diventano sempre più frequenti emozioni costruite dal giudizio e definite dal rapporto con l’esterno, generate dal confronto come  la vergogna, la colpa e l’imbarazzo (Lewis 1995).

I DCA hanno prevalentemente un esordio psicopatologico proprio nel periodo adolescenziale.

Il contesto familiare sopra descritto e le caratteristiche di personalità appena accennate fanno si che il normale processo di individuazione e differenziazione dai propri familiari diventi complicato, difficile e variegato di sensi di colpa e vergogna, nonché costellato da doppi legami e invischiamenti. Il problema alimentare non fa altro che esprimere e portare alla luce un’estrema insicurezza e confusione interiore. Il concentrarsi sul cibo e sul aspetto fisico è un tentativo disperato di spostare ulteriormente al esterno i problemi interiori.

L’adolescente quindi rimane così vittima della propria immagine e dalla propria esposizione al giudizio e al confronto con gli altri. (De Pascale A. et al., 2014).

Il sintomo è un modo di comunicare una difficoltà e uno stare male, in particolare nel caso dei DCA è il sintomo stesso che denuncia una incapacità di realizzare una coerenza interna e un senso di se accettabile.

Come si può intervenire e restituire un equilibrio emotivo ?

Il percorso terapeutico in ambito cognitivo comportamentale post-razionalista, viene inteso come la necessità della persona di “conoscere” e “ri-conoscere” i propri stati interni, inquadrati da una messa in sequenza delle esperienze date dal “qui ed ora”  e da un’attenta osservazione del materiale quotidiano. Per l’individuo è importante, infatti, effettuare dei momenti di Auto-osservazione e Moviola per sperimentare in solitaria sensazioni ed emozioni, per identificare e dare un significato al contesto in cui è chiamato a vivere.

La persona pone attenzione al suo vissuto e viene a contatto con le sue percezioni e con le sue personali, uniche e irripetibili necessità e desideri che per un lungo periodo di tempo le sono state anticipate o imposte. L’avvicinamento alle emozioni e l’ auto-osservarsi vuole favorire un auto riferimento della realtà,  la creazione di un’identità dotata di confini e contorni che permette lo sviluppo del senso del sé e da una sorta di sicurezza e indipendenza dal campo.

Si fa in modo che la persona stessa aumenti l’attenzione su di sé e sul suo mondo per caratterizzarsi e ridurre quel senso di sé vago e indefinito, di cui si accenna in precedenza, che insieme alla dipendenza dal giudizio esterno alimenta il sintomo. Si intende perciò, agendo sul momento del vissuto, dare voce alla persona e darle la possibilità di comunicare con le sue personali caratteristiche e non solo con il sintomo.

La terapia, in altre parole, vuole dare gli strumenti, alla persona che soffre di DCA, per interagire con il proprio contesto familiare e rendere funzionale la struttura di personalità. Per poter raggiungere un equilibrio tra una dipendenza dal mondo esterno e la possibilità di poter esprimere le proprie necessità e punti di vista e riuscire come ultima istanza a rendere silente il sintomo perché non avrebbe più ragione di esistere o di comunicare nulla.

Bibliografia

Blanco S., Canestri L., Reda M., (2005) “Un approccio costruttivista ai disturbi del comportamento alimentare” da Nuovo manuale di psicoterapia cognitiva Vol 2 Bollati Boringhieri.

Cutolo G. (2011) Irrazionalita’ e coerenza nei disturbi alimentari psicogeni. www.cognitivo-interpersonale.it/uploads/5/…/dca_29_ottobre_2011.doc

Gobbi F., Monti F. (2006) “Disturbi alimentari e ruolo di genere”, Ricerche di psicologia n°1 vol.29

Guidano V.F. (1988) “La complessità del Sé”, Bollati Boringhieri, Torino

Guidano V.F. (1992) “Il Sé nel suo divenire” Bollati Boringhieri, Torino

Guidano V.F. (2007) (a cura di A.Quinones) “Psicoterapia cognitiva post-razionalista” F.Angeli ed.

Lewis M. (1995) “Il sé a nudo. Alle origini della vergogna” Giunti ed.

Nardi B. . (2007) “Costruir-si” F.Angeli ed.

De Pascale A., Cimbolli P.(2014) “Disturbi delle Condotte Alimentari”, Alpes

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